25.07.2018

Spaghettata antifascista dei fratelli Cervi





Mercoledì 25 Luglio, dalle ore 19.30 Curiel - Ristorante

Un'occasione per ricordare questa famiglia, trucidata dai fascisti 70 anni fa, che non esitò dopo il 25 luglio del '43 a festeggiare con tutto il paese. Una pastasciutta quella del 27 luglio 1943, che è passata alla storia, quando i fratelli Cervi portarono la pastasciutta in piazza, nei bidoni per il latte, per superare l'idea della fame, per festeggiare quella che si pensava fosse la vicina fine della guerra. Con l'adesione dell'ANPI Lussemburgo.


A Gattatico (Reggio Emilia) Alcide Cervi e i suoi sette figli, quella sera del 25 luglio 1943, non avevano ascoltato la radio. Dovevano alzarsi presto, per portare a casa il secondo taglio di fieno. Per questo alle 23.15, quando ci fu il grande annuncio, erano già a letto. "Sua Maestà il Re e Imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di Capo del Governo, Primo ministro e Segretario di Stato, presentate da Sua Eccellenza Benito Mussolini... ".
La notizia arrivò il giorno dopo, nell'aia della famiglia Cervi. "E io ero là, quella mattina. Ero ormai di casa. Agostino, uno dei fratelli, aveva sposato mia sorella Irnes. Un altro Cervi, Gelindo, aveva sposato una sorella di mio padre, Iolanda. Allora avevo 16 anni...". Giovanni Bigi, classe 1927, ricorda ogni minuto di quei giorni. "È passato uno in strada e si è messo a gridare: "l'è casché, l'è casché...". È caduto, è caduto. "Ma chi è casché?", chi è caduto? "Al Duce, i l'han mess in galera". È il Duce, l'hanno messo in carcere ".
L'intera famiglia si riunisce al fresco del portico. Ci sono Alcide e la moglie Genoeffa, i figli Ettore, Ovidio, Agostino, Ferdinando, Aldo, Antenore e Gelindo. "L'idea della pastasciutta - racconta Giovanni Bigi - è venuta ad Aldo e gli altri si sono detti subito d'accordo. "Non possiamo fare una manifestazione perché se il Duce è caduto i fascisti e i tedeschi sono ancora qui e Badoglio ha detto che la guerra continua. Ma il popolo ha fame e allora gli diamo da mangiare. Non credo che avremo problemi"".
L'organizzazione viene affidata a Gelindo. "È stato lui ad andare dal fornaio di case Cocconi per ordinargli la pasta. La farina? Due quintali li hanno messi i Cervi e mezzo quintale noi Bigi, che come i Cervi eravamo affittuari, più ricchi dei mezzadri. Certo, il grano si doveva portare all'ammasso ma noi contadini eravamo furbi. Prima dell'arrivo della trebbiatrice - sorvegliata dai militi fascisti - noi battevamo i covoni per terra, così recuperavamo parte del frumento. Nelle nostre case non si pativa la fame".
Il fornaio chiede l'aiuto delle donne di case Cocconi per impastare la farina. "Gelindo va poi alla latteria sociale Centro Caprara per chiedere al casaro di cuocere la pasta nelle grandi caldaie che servono a preparare il parmigiano reggiano. Anche il casaro chiede l'aiuto delle donne del paese per grattugiare il formaggio che sarà il condimento della pasta, assieme al burro. Non c'erano le grattugie elettriche, allora. Si faceva tutto a mano ". Tutto è pronto la mattina del 27 luglio. "E io, Bigi Giovanni, ho avuto un incarico importante: con il mio carro e il mio cavallo ho portato i bidoni pieni di pasta fino alla piazza grande di Campegine. Li ho caricati al caseificio alle ore 11".
La voce si sparge, dalle case di campagna braccianti e contadini escono con i piatti in mano, o anche con le zuppiere e si mettono dietro al carro come in processione. "È stato - scriverà Alcide Cervi nel suo libro "I miei sette figli" - il più bel funerale del fascismo". "Sul carro con me - racconta Giovanni Bigi - c'erano quattro ragazze. Ricordo i nomi solo di tre di loro: Eletta Bigi che era mia sorella, Amedea Barani e Maria Zaniboni. Diventeranno tutte staffette partigiane. Alle 13 siamo in piazza e le ragazze cominciano a riempire i piatti. Arriva subito il maresciallo dei carabinieri che parla con Gelindo e dice: questa è una manifestazione e sapete bene che gli assembramenti con più di tre persone sono proibiti. "No - gli risponde Gelindo - qui c'è soltanto gente che ha fame. Maresciallo, prenda un piatto di pasta e torni in caserma.
All'ordine pubblico ci pensiamo noi, non succederà niente"". In piazza c'erano anche gli altri fratelli Cervi. "Uno si avvicina ad Antenore e gli dice: c'è anche un fascista che aspetta la pastasciutta, ed è in camicia nera. Antenore risponde: se è qui, vuol dire che ha fame. Poi gli va vicino e gli dice: certo, la camicia nera te la potevi togliere. E lui: ho solo questa. E Antenore, pronto: vedi come ti ha ridotto il fascismo? Non hai nemmeno due camicie. Io ero lì, al fianco di Antenore. E per la prima volta in vita mia vidi spuntare tre o quattro cartelli, con scritto "Abbasso il fascismo", "Viva la Pace"".
"Io, quel pomeriggio del 27 luglio, rimessi i bidoni vuoti sul carro, credevo che tutto fosse finito. E invece...". All'alba del 25 novembre 1943 la casa dei Cervi viene circondata dai militi della Guardia nazionale repubblicana. Alcide ed i suoi figli, assieme al partigiano Quarto Camurri, vengono portati nel carcere dei Servi a Reggio Emilia. I sette fratelli, assieme a Quarto Camurri, vengono fucilati alle 6,30 del 28 dicembre al Poligono di tiro della città.

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